Frontespizio

Le conclusioni provvisorie sono come i massi che ci consentono di attraversare un piccolo fiume: saltiamo dall'una all'altra, e possiamo farlo di volta in volta solo perché i "massi" precedenti ci hanno portato a quel punto.

«Che cosa rimane del pensiero critico, se rinuncia alla tentazione di aggrapparsi a schemi mentali, a retoriche e ad apparati argomentativi prefabbricati e di sicuro effetto scenico (manicheismo, messianismo, settarismo, complottismo, moralismo e simili...)? Non perde forse la sua capacità di attrarre l'attenzione dell'uditorio distratto facendogli sentire il suono delle unghie che graffiano la superficie delle cose?» può domandarsi qualcuno.
No, al pensiero critico non servono “scene madri” né “effetti speciali”; anzi, quanto più si dimostra capace di farne a meno, tanto più riesce a far comprendere la fondatezza e l'urgenza dei propri interrogativi. (In my humble opinion, of course!)

giovedì 28 febbraio 2013

Lettera immaginaria di un "elettore incompreso" (forse reale). Con un post scriptum


«Non sono io che devo andare a convincere gli elettori, sono gli elettori che devono spontaneamente convincersi della mia superiorità; e se non riescono a convincersene, sono solo degli stupidi e io ho tutto il diritto di insultarli in quanto stupidi, rozzi, ecc.»


Questo ragionamento non lo sentirete mai enunciato così apertamente, eppure – dai comportamenti di certi soloni e “big” della politica, che continuano imperterriti a voler dare lezioni a tutto il mondo, senza però umilmente ascoltarlo, quel mondo – si evince che è proprio quello il principio che è alla base dei loro comportamenti e atteggiamenti.



Finché qualcuno continuerà a ragionare così, quel “qualcuno” provocherà solo reazioni di rigetto negli elettori.
Perché? Forse lo potrebbe spiegare un “elettore incompreso” con una lettera idealmente rivolta a un certo tipo di candidato politico. La lettera che immagino potrebbe suonare più o meno così:

«Ti conosco da tanto tempo; invece a te non interessa sapere chi sono, cosa penso, cosa mi aspetto. Tu pensi che non sia tuo compito e tuo onere di candidato venire da me, dove io vivo, nel mio quartiere, nella mia periferia sperduta, a cercare di convincermi, ascoltando anche le mie ragioni (per discutere e magari farmi anche notare dove sbaglio): vuol dire che a priori mi consideri stupido, rozzo, indegno di considerazione. Eppure, nonostante questo preconcetto, pretendi il mio voto, e se non te lo do, il tuo “perché” al mio rigetto è già bell'e pronto; è pronto da sempre, nella tua mente di “aristocratico”. Commenti infatti ad alta voce, sui tuoi giornali e libri e pagine Web: “Tu non mi voti perché sei indegno, stupido, ecc., ed essendo tale, non ti accorgi che io e solo io merito il tuo voto”.

Caro amico, il tuo è un dogma, che nessuna realtà può confutare. Che io ti voti o no, per te io son solo un nulla da disprezzare, perché vivo nella mia periferia, ben lontano dalle tue stanze; sulla mia testa e su quella di tutti i miei simili tu tracci da sempre una croce con la scritta “Hic sunt leones”, come facevano i Romani antichi con quelle che loro consideravano terre selvagge e inospitali (e dunque “cause perse” per la loro politica espansionistica).

Sei un dannato aristocratico fin nel midollo, anche quando ti dichiari democratico.

Scendi dal tuo podio, vienimi a spiegare perché io dovrei scegliere te; ma spiegamelo guardandomi in faccia, parlando la mia lingua, da pari a pari; perché in una democrazia, ti piaccia o no, io e te siamo ugualmente cittadini, io sono un tuo simile e se vuoi il mio voto mi devi trattare con rispetto e considerazione, innanzitutto. Se vuoi che io ti scelga, devi sapermi ascoltare, non devi pretendere di saper già tutto di me e di quelli come me prima ancora di aver sentito la mia voce; se tu, come fai di solito, ti limiti a offrirmi dall'alto del tuo piedistallo le soluzioni che hai prefabbricato graziosamente per me (senza conoscere neppure la mia voce!), vuol dire che mi disprezzi, vuol dire che per te io non sono niente, solo una “bestia da voto” (esattamente come i lavoratori erano una volta “bestie da soma”, che dovevano solo faticare senza recriminare e senza mai alzare la testa).

Ti ripeto: se mentre dialoghi con me, ti rendi conto che io dico cose che per te sono sbagliate, ingenue, insensate, inattuabili, ecc., fammelo notare; però, per favore, spiegami dove sbaglio, e spiegamelo senza supponenza e senza alzare il sopracciglio. Parlami delle soluzioni che tu proponi per me e per il Paese, ma ascolta anche me. Io esisto e sono io che devo votarti; devo soppesarti, devo capire ciò che proponi e devo capire se parla anche a me e di me.

Ricordalo, per favore; altrimenti non lamentarti se poi ti volto le spalle.»


Post scriptum: comunque, non sono solo i partiti “istituzionali” a fare certi errori. Anche in certi partiti e gruppi che sono apparentemente “antagonisti”, si possono notare simili atteggiamenti “autoreferenziali” (“Noi siamo i migliori, ma lo sappiamo solo noi; il mondo non ci capisce e non ci capirà mai, perché è stupido, rozzo, arretrato; e quindi non siamo noi che dobbiamo sforzarci di convincerlo parlando anche la sua lingua; è dovere 'del mondo' darci ragione a priori, arrendendosi spontaneamente e incondizionatamente alle nostre ragioni”).

Il consenso (che non necessariamente vuol dire “voto”: anche un gruppo non-parlamentare deve cercare consenso nella società se vuole avere un senso politico) non ti viene a cercare, sei tu che te lo devi conquistare; e devi dialogare con tutti e con chiunque. Anche se sei “rivoluzionario”, hai l'onere (ineludibile) di spiegare le tue ragioni, in modo chiaro, comprensibile e possibilmente convincente; una “rivoluzione” che se ne impipa dei problemi quotidiani delle persone concrete (magari persino disprezzandoli, dall'alto della sua “dottrina”) è una rivoluzione che non si metterà mai in moto concretamente (al di là dei conciliaboli fra pochi sognatori...).

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